L’esame dei dati pubblicati venerdì scorso da Eurostat evidenzia che nel terzo trimestre del 2020 il PIL nell’Unione europea cresce del 12,1% rispetto al trimestre precedente, in Italia del 16,1%.
Nel totale dei primi tre trimestri del 2020 il PIL in Italia cumula un calo del 9,4%. Va peggio in Francia (-9,5%) e Spagna (-11,5%) mentre in Germania gli effetti recessivi sono più contenuti, con il calo del PIL tedesco che si ferma al -5,9%. In 9 mesi del 2020 l’economia italiana ha perso 122 miliardi di euro di PIL rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, 27 in più dei 95 miliardi persi nell’intero 2009, l’annus horribilis della Grande crisi scoppiata nel 2008.
Il trend dei contagi sta peggiorando in tutta Europa: secondo l’ultima rilevazione dell’Ecdc, centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, al 1° novembre in Francia si registrano 742 casi Covid-19 cumulati nelle ultime due settimane ogni 100 mila abitanti, in Spagna 531, nel Regno Unito e in Italia 459, mentre la diffusione del virus è più contenuta in Germania, con 206 casi su 100 mila abitanti. In Italia si stima che ulteriori restrizioni alla mobilità e alle attività economiche tra ottobre e gennaio del 2021 e la minore domanda estera connessa con l’ondata pandemica a livello internazionale pesino per 1,5 punti di PIL per quest’anno e per 3,3 punti nel 2021, dimezzando la ripresa. Circa un quarto (23%) di questa minore crescita deriva dal commercio estero.
Agli interventi necessari – e tempestivi, a ‘burocrazia zero’, come evidenziato da Confartigianato – nel breve periodo per contenere gli effetti della pandemia, vanno associate politiche per rilanciare l’economia italiana. Dovranno accelerare gli investimenti per supportare, grazie ai più elevati moltiplicatori fiscali, una maggiore crescita. Interventi sbilanciati sulla spesa corrente non porterebbero il rapporto debito/PIL in un sentiero di discesa e si rischierebbe una seconda crisi del debito, dopo quella scoppiata nel 2011: all’aumento dello spread seguirebbero politiche fiscali restrittive e l’avvitamento dell’economia in una spirale recessiva. Dobbiamo attendere la stesura definitiva del disegno di legge di bilancio per verificare la spinta degli investimenti delineata nella Nota di aggiornamento del DEF.
Nella fase attuale, le tensioni sul debito pubblico sono attenuate dagli acquisti dei titoli da parte della Bce, che proseguiranno almeno sino alla fine di giugno 2021 e, in ogni caso, finché non sarà conclusa la fase critica legata al coronavirus. Gli interventi di politica fiscale, oltre ai maggiori investimenti, dovranno migliorare l’offerta dei servizi pubblici.
Un contesto difficile per l’attività d’impresa penalizza la dinamica della produttività e indebolisce i processi di crescita economica. Secondo la comparazione internazionale del rapporto Doing Business 2020 della Banca Mondiale, l’Italia è al 58° posto nel mondo per facilità di fare impresa, al 23° posto tra i 27 paesi dell’Unione europea. Il nostro Paese scende al 128° posto nel mondo per complessità e tempi necessari alle imprese per pagare le imposte, al 122° posto per la risoluzione di una disputa commerciale, al 119° posto per l’ottenimento di credito e al 97° posto per le licenze edilizie. Una nostra precedente analisi evidenzia che lo spread burocratico-fiscale con l’Europa determina, per il milione e mezzo di imprese italiane con dipendenti, un maggiore costo di 2,1 miliardi di euro.
Infine, vanno rafforzati gli investimenti per aumentare la scarsa digitalizzazione dei servizi pubblici: la quota di cittadini italiani che interagiscono con la Pubblica amministrazione (Pa) spedendo moduli compilati on line è pari al 14,1%, meno della metà del 37,6% della media dei paesi dell’Unione europea.
Si corrono seri rischi di una crisi fiscale nei prossimi anni se, anche in questo difficile momento, si perde la visione dello sviluppo di lungo periodo, nella quale vanno liberate tutte le energie delle imprese e del lavoro, rimuovendo il maggior numero di ostacoli alla crescita dell’economia italiana.